Economia circolare, cos’è la progettazione ecocompatibile: opportunità e rischi dell'approccio Ue - Agenda Digitale

2022-10-16 05:27:57 By : Ms. Phoebe Pang

La proposta di Regolamento Ue sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti (ESPR), contiene una nuova disciplina per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.Tra gli obblighi informativi, spicca il passaporto digitale del prodotto. Vediamo di cosa si tratta

Direttore Scientifico Istituto Italiano per la privacy e la valorizzazione dei dati

Il 30 marzo 2022, la Commissione europea ha formalizzato le sue proposte normative per raggiungere entro il 2050 un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare.

Esse riguardano la progettazione ecocompatibile dei prodotti, la sostenibilità e circolarità del settore tessile, una strategia per i prodotti da costruzione e regole per informare e responsabilizzare i consumatori nella transizione verde.

In questo pacchetto, spicca – per ambizione e ampiezza –   la proposta di Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti (Ecodesign for Sustainable Products Regulation, o “ESPR”), contenente una nuova disciplina per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili. Proprio negli ultimi mesi, la proposta ha iniziato il suo iter al Parlamento europeo. Relatrice del testo, nella Commissione parlamentare Ambiente, sarà un’italiana: la parlamentare democratica Simona Bonafé.

In questa sede, mi concentrerò sulla parte di essa in cui vedo maggiori nessi fra economia circolare e agenda digitale: il passaporto digitale del prodotto (Digital Product Passport, o “DPP”), facendo una prima messa a fuoco delle grandi opportunità che deriveranno da questo nuovo strumento, dell’importanza che lo strumento venga impostato facendo tesoro del meglio delle nuove tecnologie (in particolare, della blockchain) e dei rischi sul corretto funzionamento del mercato interno che potrebbero venire da un’applicazione dell’istituto “uguale per tutti”, perfezionistica e burocratica.

In estrema sintesi, la proposta di ESPR stabilisce nuovi requisiti per rendere i prodotti più durevoli, affidabili, riutilizzabili, riparabili, più facili da mantenere, da rinnovare e da riciclare ed efficienti dal punto di vista energetico e delle risorse, e contiene misure per porre fine alla distruzione dei beni di consumo invenduti, nonché per ampliare gli appalti pubblici verdi e per fornire incentivi per prodotti sostenibili.

Oltre a migliorare il funzionamento del mercato interno, l’obiettivo dell’ESPR è ridurre l’impatto ambientale negativo dei prodotti durante il loro ciclo di vita. L’ESPR vuole introdurre un quadro per l’elaborazione di specifiche di progettazione ecocompatibile che siano basate su durabilità e riutilizzabilità dei prodotti, possibilità di miglioramento e riparabilità, efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse, contenuto riciclato, rifabbricazione e riciclaggio di elevata qualità dei prodotti, riduzione delle impronte di carbonio.

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Attualmente, la materia è regolata dalla direttiva 2009/125/UE. Grazie all’ESPR, verranno introdotte nuove regole e sarà più ampio l’ambito di applicazione (cioè il novero di prodotti impattati). Mentre la vigente direttiva 2009/125/UE si concentra sui prodotti legati all’energia, l’ESPR introduce anche norme di contrasto alla presenza di sostanze chimiche dannose nei prodotti e norme sulle apparecchiature elettroniche, tessili, mobili, sull’acciaio, cemento e sui prodotti chimici. Di fatto, con l’ESPR, la progettazione ecocompatibile dei prodotti si applicherà a tutti i settori, con l’eccezione della produzione di medicinali, alimenti e mangimi. Questo significa che larghissima parte dei prodotti che consumiamo vi sarà soggetta.

Aspetto importante per gli scambi internazionali: l’ESPR non riguarderà solo i prodotti europei. I prodotti provenienti da paesi terzi che entreranno nel mercato dell’Unione Europea dovranno essere conformi all’ESPR e agli atti delegati adottati dalla Commissione europea, siano essi importati come prodotti, come componenti o come prodotti intermedi. E gli importatori (europei) dovranno assicurarsi che i prodotti da essi immessi sul mercato siano conformi a tali prescrizioni e che la marcatura CE e la documentazione redatta dai fabbricanti siano a disposizione delle autorità competenti a fini di ispezione.

A differenza di altri Regolamenti, l’ESPR non introduce un sistema sanzionatorio comune a livello UE. Saranno gli Stati membri a stabilire le sanzioni da applicare alle varie categorie (produttori, importatori, distributori, rivenditori, riparatori, riciclatori, professionisti della manutenzione) in caso di violazione dell’ESPR e ad adottare tutte le misure necessarie per assicurarne l’applicazione. Come sempre, le sanzioni dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive, e dovranno essere comminate tenendo conto del grado di non conformità e del numero di unità di prodotti non conformi immessi sul mercato dell’Unione.

In base alla proposta, la Commissione europea avrà il potere di stabilire, mediante appositi atti delegati: specifiche di progettazione ecocompatibile, prescrizioni relative alle procedure di valutazione della conformità e alla misurazione del consumo di energia o delle prestazioni rispetto ad altri parametri, obblighi per i fabbricanti, per i mandatari o per gli importatori affinché forniscano informazioni alla Commissione europea o alle autorità di vigilanza del mercato e prescrizioni relative all’uso di strumenti online per calcolare le prestazioni dei prodotti, alle disposizioni alternative in materia di dichiarazione di conformità o marchi e, infine, agli incentivi degli Stati membri e ai criteri in materia di appalti pubblici. In questi atti, la Commissione europea dovrà rafforzare gli aspetti della circolarità nella valutazione dei prodotti e nella definizione delle specifiche di progettazione ecocompatibile (come la durabilità, la riparabilità – compreso un sistema di punteggio della stessa – l’individuazione delle sostanze chimiche che ostacolano il riutilizzo e il riciclaggio).

È prevista la creazione di un forum sulla progettazione ecocompatibile, con una partecipazione equilibrata di rappresentanti degli Stati membri e delle parti interessate come l’industria (comprese le PMI), gli artigiani, i sindacati, i commercianti, i dettaglianti, gli importatori, i gruppi per la tutela ambientale e le organizzazioni dei consumatori. Il forum farà consulenza alla Commissione sul piano di lavoro e sulle specifiche di progettazione ecocompatibile, prima che la Commissione eserciti formalmente i suoi poteri delegati.

In linea con lo stile legislativo europeo, anche la proposta di ESPR dedica grandissima attenzione agli obblighi di informazione, che in questo caso saranno informazioni per lo più tecniche sulla sostenibilità ambientale.

Tra gli obblighi informativi, spicca il passaporto digitale del prodotto (Digital Product Passport, o “DPP”), pensato con lo scopo di consentire ai prodotti di essere contraddistinti e identificati e di offrire informazioni pertinenti sulla circolarità e la sostenibilità. L’accesso alle informazioni contenute nel passaporto digitale sarà differenziato in funzione del tipo di informazione e della tipologia di portatore di interessi che deve accedervi. Il passaporto digitale dovrebbe fornire – con riferimento al modello, al lotto o al singolo articolo – informazioni sull’origine del prodotto, sulla sua composizione, sulle possibilità di riparazione e di smontaggio e sulla manipolazione al termine del suo ciclo di vita. Esso è pensato per tracciare un quadro completo di quelle informazioni relative ai prodotti che sono più utili a fornitori, produttori, rivenditori, clienti, riparatori professionisti, impianti di trattamento dei rifiuti e autorità di vigilanza del mercato.

Anche sul passaporto digitale del prodotto, la Commissione europea varerà un atto delegato. La proposta di ESPR prevede che siano dispensati dall’obbligo di passaporto digitale i gruppi di prodotti per i quali: a) non sono disponibili specifiche tecniche relative ai requisiti essenziali per la progettazione tecnica e per il funzionamento del passaporto dei prodotti; b) altra legislazione europea già prevede un sistema per la trasmissione digitale delle informazioni sul prodotto a beneficio dei soggetti nella catena del valore, facilitando così la verifica della conformità del prodotto da parte delle autorità nazionali competenti.

Sul piano dei costi, l’implementazione operativa del passaporto digitale non sarà indolore per le imprese. Bisognerà che il passaporto sia collegato – tramite un supporto dedicato, conforme alla norma “ISO/IEC” 15459:2015 inserito nel prodotto – a un ID univoco del prodotto, anch’esso conforme alla norma “ISO/IEC” 15459:2015. Le informazioni inserite nel passaporto digitale dovranno essere basate su standard aperti, sviluppate con un formato interoperabile, leggibili meccanicamente, strutturate e ricercabili.

È già aperto il confronto su quali informazioni memorizzare nel passaporto digitale del prodotto. In base alla proposta di ESPR, sarà la Commissione a precisare gli obblighi di informazione in relazione al passaporto digitale del prodotto, quindi le informazioni da inserire. Sembra probabile che il forum sulla progettazione ecocompatibile fornirà un parere anche su quali informazioni includere.

Viviamo in un’epoca in cui i prodotti sono sostituiti continuamente e in cui la domanda di prodotti nei mercati emergenti – cioè diversi dall’occidente – è in continua crescita. Il dispendio di energia e di risorse per produrre e distribuire i prodotti nuovi e per smaltire i vecchi, lo sappiamo, è elevato e danneggia ambiente e clima. Che fare?

Sul fronte dell’energia, superare l’uso dei combustibili fossili e favorire la transizione energetica verso alternative più sostenibili; sul fronte delle risorse, favorire un uso più razionale delle materie prime. Ove mai i processi di estrazione e utilizzo delle materie prime rimanessero quelli di oggi, l’impatto sull’ambiente, il consumo di energia e le emissioni di anidride carbonica (CO2) sarebbero insostenibili.

Dopo un’estate di caldo torrido, di siccità e di tragedie come il crollo del ghiacciaio della Marmolada, ci conforta il sapere che l’Unione Europea si è giuridicamente vincolata a due obiettivi di neutralità climatica: riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030, zero emissioni nette di gas sera entro il 2050.

Oltre a voler rendere la sua economia climaticamente neutra (ad impatto climatico zero), l’Unione Europea sta perseguendo una strategia di crescita sostenibile – il “Green Deal” – fondata su un modello di produzione e consumo che implica il più a lungo possibile condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti. Questo modello è definito “economia circolare”.

L’economia circolare ha un rapporto stretto con la trasformazione digitale. Per fare due esempi fra i tanti possibili, sono le tecnologie digitali a consentire la raccolta e l’analisi delle informazioni necessarie alle catene di approvvigionamento dell’economia circolare e a favorire a vari livelli quel processo che induce gli utenti a optare per servizi (es. il car sharing) invece che per prodotti inquinanti (es. le automobili).

Nel marzo 2020, la Commissione europea aveva presentato un vero e proprio piano per l’economia circolare con alcune direttrici (progettazione di prodotti più sostenibili, riduzione dei rifiuti, ecc.), e un focus sui settori ad alta intensità di risorse, come l’elettronica e tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le materie plastiche, il tessile e le costruzioni. Il Parlamento europeo ha votato per il nuovo piano nel febbraio 2021, chiedendo misure aggiuntive.

EuroCommerce (l’Associazione europea del commercio al dettaglio, all’ingrosso e internazionale) chiede che il passaporto digitale del prodotto tenga conto delle esigenze delle imprese e che sia flessibile, aperto e adeguato alle esigenze future, inclusivo e pertinente, decentralizzato per semplificare l’accessibilità e la portabilità dei dati e coerente con l’ecosistema delle politiche in materia.

GS1 in Europe (l’organizzazione che sviluppa e mantiene standard globali per la comunicazione tra imprese) raccomanda che il passaporto digitale del prodotto sia pienamente interoperabile con altri passaporti e in tutti i gruppi, anche in relazione agli aspetti tecnici, semantici e organizzativi dell’interoperabilità, della comunicazione end-to-end e del trasferimento dei dati.

Quanto alle PMI, riporto quanto affermato in tema di economia circolare da Olivo Foglieni, vicepresidente di Confindustria Bergamo: “Passare da un’economia verticale a una economia circolare è doveroso. […]. Le imprese italiane sono già pronte e preparate per questo profondo cambiamento. La capacità di non sprecare e di recuperare gli scarti ce l’hanno da decenni nel loro DNA di impresa. Ma per mettere tutto questo a sistema, in modo efficiente e senza rischi, occorre un percorso fatto di tappe progressive e di un equilibrio temporale che tenga conto degli sforzi. Soprattutto, della dimensione di investimenti necessari e dei costi richiesti dalla transizione, che per un’impresa riguardano il fronte tecnologico, organizzativo e finanziario”.

Apparentemente, nessuna tecnologia meglio della blockchain permette di conciliare gli obiettivi di tracciabilità e trasparenza propri del passaporto digitale del prodotto con la tutela del segreto aziendale, essendo la blockchain da un lato una soluzione decentralizzata, con identificatori digitali che registrano ogni fase del ciclo di vita del prodotto e ogni player nella catena del valore, dall’altro una soluzione sicura.

In effetti, la Commissione europea sta lavorando a una infrastruttura blockchain (EBSI), che intende utilizzare per raggiungere gli obiettivi climatici, compreso il passaporto digitale del prodotto.

Qualcuno obietta che se per questa blockchain sarà utilizzato il sistema di validazione delle transazioni noto come proof of work, avremo l’effetto paradossale che il passaporto digitale del prodotto danneggerà il clima. Infatti, la catena sarebbe fatta da miliardi di blocchi (tutti i player della filiera). Ciò implicherebbe un aumento delle necessità di calcolo necessarie per la validazione dei blocchi, e crescenti consumi energetici. Il nostro augurio è che l’Unione Europea non rinunci all’opportunità della blockchain, ma non usi il proof of work.

Le opportunità connesse al passaporto digitale del prodotto sono molteplici, e di grande importanza. Citiamone le più evidenti: a) garanzia di sostenibilità dei prodotti, foriera di un vantaggio competitivo presso gli attori della catena di approvvigionamento; b) esplorazione di nuovi modelli di business legati a uno scenario in cui la vita del prodotto si allunga; c) possibilità per i produttori di comprendere meglio i loro flussi di materiali e per rendere i processi più efficienti, per poi implementare gli opportuni miglioramenti.

I rischi derivano dal mettere sullo stesso piano prodotti di settori diversi, con diverso impatto ambientale, costringendo tutti al medesimo sforzo per raccogliere e mettere a disposizione le informazioni. Forse, prodotti di abbigliamento (una camicia, un pantalone) non andrebbero equiparati a macchinari e attrezzature complessi né essere soggetti alle stesse regole, visto che l’impatto ambientale della loro produzione è molto più basso. D’altra parte, ci sono prodotti che hanno un impatto ambientale non secondario, ma per il quale la raccolta delle informazioni per il passaporto digitale può essere complessa. Pensiamo all’ingegneria meccanica: anche un singolo prodotto può essere composto da migliaia di componenti. Considerata la complessità delle catene di approvvigionamento, soprattutto per le PMI reperire tutti questi dati nel passaporto digitale potrebbe essere arduo, almeno non nei tempi brevi voluti dall’Unione Europea.

Per mitigare questi rischi, si potrebbe prevedere, almeno in una prima fase di attuazione della normativa sul passaporto digitale del prodotto, che si mettano a disposizione informazioni più approfondite per i prodotti ad elevato impatto ambientale – eventualmente identificati con la Product Environmental Footprint (PEF), cioè la metodologia dell’UE per standardizzare i calcoli sull’impatto ambientale dei prodotti – e, per le PMI, per i prodotti le cui catene di approvvigionamento consentono più agevolmente di ricostruire il dettaglio.

Il pilastro dell’economia circolare è la raccolta differenziata dei rifiuti. Per il passaporto digitale del prodotto, il pilastro per conciliare un’economia circolare con un corretto funzionamento del mercato sarebbe una gestione differenziata degli obblighi informativi e di accountability. Speriamo che l’UE lo capisca.

di Federico Maffezzoli, Andrea Bacchetti, Chiara Corbo e Maria Pavesi

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